Il passo successivo, dopo le calcolatrici, sono i computer moderni: macchine che svolgono automaticamente il lavoro dei loro antenati, i computer umani. Come i computer umani, quelli moderni svolgono lunghe serie di calcoli sotto il comando di un programma scritto da uno scienziato o un ingegnere. I computer moderni sono elettronici, ma i principi su cui si basano sono più generali e possono essere realizzati in tanti modi, anche usando la tecnologia delle macchine di questa sala.
Nel 1836, mentre De Colmar stava ancora perfezionando il suo Arithmometre, il matematico e filosofo inglese Charles Babbage (1791-1871) aveva già ideato una macchina in grado di obbedire ad una sequenza di ordini simili a quelli usati nei fogli di calcolo dei computer umani. Gli ordini erano “scritti” su quelle schede perforate che già Joseph-Marie Jacquard (1752-1834) aveva usato per automatizzare il lavoro dei telai. Babbage progettò la sua gigantesca Macchina Analitica (Analytical Engine) fin nei più piccoli ingranaggi, anticipando molte delle idee dei computer moderni. Tra queste ricordiamo soprattutto l’idea del salto condizionale, tramite il quale la macchina può scegliere di seguire ordini alternativi in base ai risultati dei calcoli precedenti, e può dunque essere programmata per eseguire cicli e prendere decisioni.
La Macchina Analitica non fu mai costruita, forse a causa del carattere incostante del suo inventore. La divulgazione delle idee di Babbage fu affidata ad un articolo scritto in francese da Luigi Federico Menabrea (1809-1896), scienziato e futuro primo ministro italiano. L’articolo era basato su una serie di seminari che Babbage tenne nel 1840 a Torino, ed è famoso soprattutto per la traduzione in inglese che ne fece Augusta Ada Byron, contessa di Lovelace (1815-1852), grande amica di Babbage stesso. D’accordo con lui, la Lovelace aggiunse alla traduzione una serie di corpose Note in cui leggiamo prefigurare, per quanto in modo nebuloso, che la macchina avrebbe potuto trovare applicazioni anche al di fuori del mondo del calcolo.
Ma la memoria di tutto ciò si perse rapidamente e la storia del computer dovette ripartire daccapo un secolo dopo. Negli anni ’30 del 1900, Howard H. Aiken (1900-1973) negli USA e Konrad Zuse (1910-1995) in Germania riscoprono indipendentemente l’idea di una macchina programmabile. Lo scopo delle loro invenzioni è sempre lo stesso: automatizzare i calcoli scientifici. Entrambi realizzarono delle macchine elettromeccaniche: ingranaggi meccanici messi in moto elettricamente e dispositivi elettromeccanici, come i relé. Incredibilmente, dal punto di vista della programmabilità, le loro macchine erano meno potenti di quella a cui aveva pensato Babbage un secolo prima. Erano infatti in grado di eseguire ciclicamente una sola sequenza di istruzioni, senza la possibilità di salti condizionali.